OGGI, 1 agosto 1972 — Intervista di GABRIELLA PANIZZA, fotografie di SILBERG

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"Quando canto, prima di tutto voglio accontentare me stesso, anche se, com'è logico, canto per il pubblico. Quindi non è questione di temere il giudizio di una o dell'altra parte del pubblico; ciò che lo temo è l'opinione che Corelli può avere di se stesso.”

INCONTRO CON FRANCO CORELLI TORNATO IN ITALIA PER CANTARE L'"ERNANI" A VERONA

« Tutti cantano quando sono contenti », afferma il tenore, « mentre guidano o si fanno la barba. Per me invece cantare significa infelicità perché ho sempre paura di sbagliare e non posso permettermelo: la gente s'aspetta ogni volta da me che sia Franco Corelli » • « Per salvaguardare la mia voce faccio mille sacrifici. Ad una sola cosa non rinuncio: all'amore » • « Sono molto vanitoso. Impiego cinque minuti per fare la barba, altrettanti per la doccia, ma poi perdo un sacco di tempo a scegliere il vestito giusto e armonizzare gli accessori »

Verona, luglio

In America hanno definito Corelli il tenore dal fascino animale per la sua prestanza fisica, per la sensualità di certi suoi accenti, per il suo temperamento aggressivo. Alto, atletico, il bello della lirica, è un uomo dalla personalità complessa, dagli interessi molteplici di cui pochi conoscono il risvolto più autentico. La gente ci vede lontani», dice, e non sa che anche noi siamo uomini, pieni di problemi, di ansie, di paure. Uomini che vivono la dorata e terribile solitudine del palcoscenico».

Ci dica, dunque, com'è nella realtà Franco Corelli?

Un infelice.

E perché?

Perché canto. Vede, lo strano? Tutti cantano quando so no contenti, mentre si fanno la barba, guidano la macchina, aspettano la telefonata della ragazza. Per me invece cantare è sinonimo di infelicità.

Da che cosa nasce questa sua « infelicità »?

Dalla paura degli imprevisti. L'incidente è sempre in agguato, basta un fiato preso male, un filo di saliva in gola e ci può scappare la « stecca », l'acuto mal riuscito. È il senso di enorme responsabilità nei confronti del pubblico, che si mette in questo stato di tensione quando sto per andare in scena.

"Con Verdi vado d'accordo".
Verona. Franco Corelli (49 [51] anni) seduto nel vestibolo dell'Arena di Verona dove ha interpretato l'« Ernani » di Verdi, che ha aperto la stagione lirica. « È un'opera che mi sta bene », dice, « anche se non è tra le più interessanti. Di Verdi preferisco "Il Trovatore"»

"Con Verdi vado d'accordo". Verona. Franco Corelli (49 [51] anni) seduto nel vestibolo dell'Arena di Verona dove ha interpretato l'« Ernani » di Verdi, che ha aperto la stagione lirica. « È un'opera che mi sta bene », dice, « anche se non è tra le più interessanti. Di Verdi preferisco "Il Trovatore"»

Naturalmente anche il mio temperamento ipersensibile gioca la sua parte. Quando vocalizzo per provare la voce, mi sento in forma perfetta, poi, appena metto piede in palcoscenico, temo che la forma non sia più così perfetta perché in me subentra la paura. Nessuno sa spiegarsi il perché di questo mistero.

Quindi lei rende di più quando canta nel suo studio o prova la voce in camerino di quanto non renda sulla scena.

Non è esatto; in linea di massima posso rendere di più in palcoscenico, per una serie di ragioni: il « clima » della scena e la presenza del pubblico soprattutto. Però quel « fiato » tranquillo, disteso, che ti permette di fare cose eccezionali fuori dalla scena, in teatro ce l'hai ridotto della metà. Tutto questo, naturalmente, dal lato vocale: dal punto di vista interpretativo, il discorso è un altro.

Quali sono i sacrifici che un cantante come lei deve affrontare?

Tanti: non fare il bagno in acque troppo fredde neanche se crepi dal caldo, stare attento alle correnti, all'aria condizionata, ai finestrini aperti in macchina, ai cibi troppo piccanti, al liquori. Niente fumo, niente ore piccole, eccetera.

Deve rinunciare anche all'amore?

Eh no, nell'amore trovo quella forza istintiva che poi in teatro si traduce in passionalità. Ovviamente per salvaguardare la voce non si devono superare certi limiti. Come i calciatori che prima della partita « vanno in ritiro » anche un artista deve imporsi un controllo. L'artista in fondo può essere considerato un atleta: vedi l'importanza del fiato! Anche la sua è una continua corsa. E più corri più devi sacrificarti.

Le capita spesso di avvertire un'attrazione fisica per le sue partner?

Quando canto io vivo ed agisco in conseguenza del personaggio che interpreto: Franco Corelli non esiste più; lo lascio in camerino.

Com'è diventato cantante lirico?

Tutto cominciò con Una strada nel bosco. Avevo sentito questa canzone in un disco di Gino Bechi e la cantavo anche io, per diletto, perché mi piaceva. Ma a quel tempo non sapevo neanche di avere una « voce ». Quando mi iscrissi alla facoltà di ingegneria, all'niversità di Bologna, mi feci una cerchia di amici. Con essi andavo in case di persone che avevano il pianoforte e, sempre per diletto, più volte mi sono avventurato nell'opera, cantando qualche aria. Ma ancora non pensavo affatto al canto come una vocazione o una professione. L'opera mi piaceva perché piace a tutti gli anconetani. E poi, nella mia famiglia c'era una certa tendenza alla musica. Tutti i miei fratelli suonano il pianoforte (io sono l'unico che non l'ha studiato); e la musica operistica era la musica prediletta di mio padre e dei miei zii. Il passaggio dall'ingegneria al canto, come professione, è avvenuto quasi per caso. C'era un mio amico che andava a Firenze per partecipare a un concorso di voci, al Maggio musicale fiorentino. Andai con lui, così, per accompagnarlo. Ma quell'anno i concorrenti scarseggiavano e alcuni miei amici e anche dei maestri del Comunale, convinti che lo avessi « una certa voce », mi sollecitarono ad entrare in gara, sottoponendomi a una audizione. A furia di insistere mi convinsero e cantai una romanza, non troppo bene. Però i miei esaminatori valutando il materiale e altri elementi giudicarono la prova positiva: e ciò mi incoraggiò a studiare.

La voce del tenore non è naturale come quello del baritono, vero?

No, e neppure come quella del basso. Per mantenersi quelle tre o quattro note in più che possiede (e che si è conquistato facendo violenza alla natura) il tenore deve appunto assoggettarsi alle rinunce di cui si parlava prima.