Oggi, 12 Marzo, 1959
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"...in genere un uomo che "arriva" deve ringraziare per metà la sua buona sorte, per un quarto il suo aspetto o la simpatia che sa ispirare, e per il resto il merito reale. È scetticismo, questo? Se sì, esso non mi impedisce tuttavia di studiare accanitamente, di lavorare duro, di apprendere quel che è giusto apprendere da quegli stessi che ammiro, e che quando possono mi intralciano la via. Ho addirittura logorato il disco di "Testa adorata" dalla Bohème di Leoncavallo, incisa da Del Monaco, a forza di ascoltarlo.”
In questo articolo il cantante lirico FRANCO CORELLI, che si è affermato ormai definitivamente alla Scala, narra la sua vita e gli incidenti della sua carriera
Nome: Franco,
Cognome: Corelli;
Tipo: tenore drammatico d'alto fusto (un metro e 83).
Prestazioni: quasi tutto il repertorio inerente al suo tipo, fatta provvisoria eccezione per Otello, Lohengrin, Manon Lescaut e poche altre opere.
Specialità: mette il "do" in Turandot ed altri acuti problematici dove ci vogliono, ma non per questo si può dire che gli manchi la "mezzavoce".
Difetti: vive troppo appartato, non va in società, detesta volare, ha la passione dell'automobile, non nasconde che si diverte ad ascoltare Domenico Modugno.
Altre caratteristiche: fa dei film; ha sangue anconetano alquanto caldo.
Milano. Il tenore Franco Corelli ripassa uno spartito in un giorno di riposo tra due repliche di "Ernani", da lui interpretato con gran successo alla Scala. Corelli è anconetano di nascita, ha carattere vivace e battagliero ed è eccezionalmente alto: un metro e ottantatre centimetri. Quest'estate canterà il "Trovatore" all'Opéra di Parigi, per la stagione lirica italiana cui parteciperà anche Maria Callas [purtroppo questo non si è realizzato]; poi interpreterà un film [neanche questo].
Questa, più o meno e scherzando fino a un certo punto, è la "schedina" che mi definisce, secondo i managers, gli intendenti dei teatri lirici, i colleghi e le colleghe che amano far mostra di benevolenza o almeno di obiettività. Secondo altri colleghi, invece, la mia "schedina" sarebbe del tutto diversa: la conosco, ma non posso riferirla perché ovviamente denigratoria. Uno di essi, il più illustre, è giunto addirittura a mutarmi il cognome, applicando un tipo di "ironia anagrafica" che risale, ritengo, ad Aristofane: invece di Corelli mi chiama Pecorelli. Allude, con questo, a un tremito nella voce che effettivamente mi sfuggì qualche volta cinque anni fa, quando ero si può dire un esordiente e l'emozione, ovvero "fifa", di certe serate poteva farmi ancora simili tiri. Posso parlarne ora con la massima tranquillità, e accettare lo scherzo, perché si trattava di un fatto meramente accidentale e ormai dimenticato, come qualsiasi critico vi confermerà.
È la solita storia che si ripete in ogni ambiente dove la "competizione" sia intensa: i giovani che si fanno avanti e si affermano non sono precisamente adorati dai "re" in carica, né dai loro sostenitori entusiasti. Quel che succede nel loggione della Scala, per esempio, è almeno curioso: canto ormai da cinque stagioni in questo teatro prestigioso, e posso dirlo con conoscenza di causa. Senti uno che urla "bravo", e un altro che strilla "bue!"; uno che grida "bis" e un altro che oppone "cane!". Conosco questi oppositori aprioristici uno per uno, perfino per nome: ad esempio la signorina Margherita, il signor Antonio, eccetera. Ne tenevo d'occhio uno da tempo. Proprio l'altra sera, uscendo dalla Scala appena finita la "prima" di Ernani (un successo pieno, riconosciuto da molti critici), lo trovai intento a scrivere, sui manifesti affissi in piazza, parole sconvenienti accanto al nome mio e a quello della primadonna. Non potei trattenermi (vedi "schedina", all'ultima voce: sangue alquanto caldo) e lo presi per il bavero. Azione, reazione, ciak. Non fu, però, uno scontro molto violento: non tanto da costituire reato, per lo meno. A duello concluso, mentre i passanti notturni ci si affollavano intorno, ci abbiamo visto più chiaro tutti e due: poi il mio avversario ha riconosciuto il suo torto, ed ora siamo in pace.
Ebbi un altro duello, più importante, proprio un anno fa, al Teatro dell'Opera di Roma. Stavamo provando il Don Carlo: ero il protagonista. Ad un tratto ci mettemmo a discutere, il basso ed io, sulle nostre rispettive posizioni in scena. Avevo io la frase da cantare, in quel momento, e mi ostinai. Il mio collega si dichiarò deciso a non prendere in considerazione le idee altrui. Non mi muovevo; per farmi spostare egli sguainò la spada e mi venne addosso colpendomi con due piattonate. Era ovvio che reagissi, e da spadaccini ci trasformammo in pugili. Il basso se ne andò gridando che non sarebbe tornato. Pochi giorni dopo l'intendente ci persuase a stringerci la mano davanti a tutti, e andammo in scena. Quella fu una stagione avventurosa. Non erano passate molte sere, infatti, dalla Norma con Maria Callas, che fu clamorosamente interrotta. In quella Norma io ero "Pollione". Fu l'unica volta che incassai un cachet senza cantare. Un altro cachet, un po' diverso purtroppo, dovetti prenderlo prima di andare a letto.
Tutto sommato, non è che mi impressionino molto i volti scuri, le piccole o grandi ostilità, il collega che non mi saluta. Io sto ai fatti. Ho abbastanza umiltà per riconoscere ed affermare che debbo molto alla fortuna: io come tanti altri. Sono solito, anzi, dire che in genere un uomo che "arriva" deve ringraziare per metà la sua buona sorte, per un quarto il suo aspetto o la simpatia che sa ispirare, e per il resto il merito reale. È scetticismo, questo? Se sì, esso non mi impedisce tuttavia di studiare accanitamente, di lavorare duro, di apprendere quel che è giusto apprendere da quegli stessi che ammiro, e che quando possono mi intralciano la via. Ho addirittura logorato il disco di "Testa adorata" dalla Bohème di Leoncavallo, incisa da Del Monaco, a forza di ascoltarlo.
Continuo consigliarmi perseveranza e prudenza. In casa mia troverete, appiccicati ai quadri, dei bigliettini scritti da me stesso. Dicono per esempio: « Caro Franco, non fare il cretino, non scassarti la gola a fare per ore di seguito do do do e ancora do. Un amico che ti vuol bene ». Mi servono, me li rileggo quando studio, tutti i giorni o rischierei di affaticare la voce per troppo zelo: ora che ho trovato gli acuti mi lascerei spesso trascinare dall'entusiasmo.
I risultati però ci sono. Alcuni anni fa mi appiccicarono un'"etichetta giornalistica", quella di "terzo uomo" della lirica italiana: terzo, restava inteso, dopo Del Monaco e Di Stefano. Ora questa etichetta va scomparendo. Non è poco. Pensare a questo mi aiuta quando "vado in scena" ed ho ancora paura, almeno alla Scala. « Non aver fifa », mi scrivo anche su quei biglietti che dissemino per casa. A questo proposito, un appunto: qualcuno mi rimprovera di non tentare l'Otello, qualcuno addirittura mi sfida a cantare Otello. Potrei benissimo cimentarmi in questo personaggio che rappresenta senz'altro un punto di arrivo in una carriera: ma se non lo faccio non è per "fifa", bensì perché non intendo rinunciare, per questa interpretazione così impegnativa, alla maggior parte delle opere del mio repertorio acuto. Io ritengo che sia anche la varietà e la completezza del repertorio a qualificare l'artista.
Dicevo: la fortuna. Dicevo che le debbo molto. Lo prova, del resto, la storia breve della mia vita. Sono nato ad Ancona, in una casa a trenta metri dal mare e appoggiata, di spalle, alla collina Capodimonte. Mio padre era impiegato ai "Cantieri navali riuniti", io pensavo da ragazzetto di diventare ingegnere navale. Per intanto mi accontentavo di battagliare coi ragazzi del vicinato, sulla collina, a sassate e a colpi di bastone: ecco le cicatrici che ho sulla fronte. Mi accontentavo di partecipare ai campionati di canottaggio e di nuoto: ci ero tagliato davvero. Poi mi diplomai geometra ed ottenni la licenza di macchinista navale. Ma negli anni dopo la guerra, impiegato all'ufficio ricostruzioni presso il municipio di Ancona, avevo tanto da fare come geometra che dimenticai il mare. La mia casa era stata distrutta da un bombardamento aereo. Mi ripromisi di ricostruirla, più grande e più bella, coi miei futuri guadagni. Ho adempiuto a questa "promessa" proprio nello scorso dicembre: lì ero nato, lì è morta mia madre nove anni fa. La casa ora è risorta. Ma io non ho ancora smesso il lutto per la morte della mamma. Lo smetterò solo quando avrò sciolto un voto: cantare una messa per lei, nell'anniversario della sua scomparsa.
Fino al '46 non avevo cantato mai, neppure per caso, se non "Fischia il sasso" in coro coi balilla. Una sera andai con amici a far visita a una professoressa di pianoforte. Mi piaceva la lirica, incominciai a cantare per gioco un brano d'opera, « Potresti tentare », mi dissero. Ero scettico. Pensavo che cantanti si nasce: non credevo che lo studio potesse fare tanto, quasi dei miracoli, mettere in luce qualità nascoste in una voce. Mi incoraggiarono. È questo che intendo per "fortuna". Andavo tre volte la settimana a studiare, ma per gusto personale, per divertimento, a Pesaro. Poi il caso mi condusse a Firenze: una gita in comitiva. Durante quel breve soggiorno partecipai, senza prendermi sul serio, a un concorso, e lo vinsi. Ecco ancora quel che chiamo "fortuna".
Allora mi decisi. Fui accettato al Centro sperimentale, partecipai ai concorsi di Spoleto, la prima volta nel '51 ['50], e fui bocciato. C'era Gigli, ricordo, ad ascoltarmi, mi emozionai, persi la testa, non so quel che combinai. L'anno dopo vinsi. Mi preparai due mesi a Roma per debuttare in Aida. Ma si scoprì che non avevo voce adatta per quell'opera, che fu sostituita con Carmen. Così esordii a Spoleto: da allora il "Don José" della Carmen è il mio personaggio prediletto, l'ho interpretato centotré volte.
L'anno dopo fu quello del mio debutto a Roma, al Teatro dell'Opera, in Giulietta e Romeo. E nel '54, fulmineamente, giunsi alla Scala, nella parte di Licinio nella Vestale, accanto a Maria Callas. Non so ancora se debba ringraziare, per questo, la stessa Callas, il maestro Votto o il regista Luchino Visconti.
Da allora conduco, si può dire, una vita castigata, quasi di recluso: insomma, noiosa da raccontare. Le sole "evasioni" che mi concedo sono il tennis, il lavoro cinematografico (ho un contratto di sette anni con una casa di produzione di primo piano, e questa estate interpreterò un cinemascope assai impegnativo) ; infine i lunghi viaggi in auto.
Confesso che le automobili mi piacciono grandi, sicure. Avevo una "Mercury", ora ho acquistato una "Continental" verde-acqua ultimo modello. La "Ford" aveva promesso, due anni fa, di non mutare in nulla la linea di questa automobile per molto tempo: invece l'ha completamente rinnovata, ed in meglio. Ma qui bisogna che smetta: o mi daranno del Claudio Villa.
Franco Corelli 🌹