Le Ore, 8 agosto 1961 — di Edgarda Ferri

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<aside> 💡 Questo articolo è uno dei tanti che parlano del conflitto di Corelli con il direttore d'orchestra russo-americano Fabien Sevitzky durante le prove per la rappresentazione della Carmen a Verona nel 1961 (si spera che col tempo tutti questi articoli vengano raccolti e pubblicati qui).

Se da un lato l'articolo è in qualche modo critico nei confronti del tenore e cerca di dipingerlo come capriccioso, dall'altro rivela, attraverso un resoconto dettagliato dell'accaduto, che stava solo facendo quello che probabilmente avremmo fatto tutti noi al suo posto: il direttore d'orchestra si rifiutava di scendere a compromessi e insisteva su un tempo che rappresentava una sfida inaccettabile per Corelli, che a quel punto minacciò di andarsene, dicendo "Trovatevi un altro tenore allora". Naturalmente, alla fine il teatro ha scelto il tenore e ha sostituito il direttore d'orchestra con Francesco Molinari-Pradelli.

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NB: È stato piuttosto difficile trascrivere il testo da una foto, soprattutto con il mio scarso italiano, quindi se leggi qualcosa che non ha senso, probabilmente è colpa mia. Ho messo un segno [?] quando non ero sicura di aver letto correttamente il testo.

❣️ Un grande ringraziamento alla nostra esperta archivista Irina Malinina per l'articolo.

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"Franco Corelli ha fatto le bizze come la Callas"

CORELLI: SUA MAESTÀ IL TENORE

Franco Corelli ha avuto una discussione con il maestro Sevitzky sui tempi di Bizet ed ha concluso dicendo: "Cercatevi un altro tenore!". Ma i dirigenti dell'Arena di Verona hanno preferito cercarsi un altro maestro.

Franco Corelli fa le bizze come una primadonna. In doppiopetto di seta grigia, i capelli ben tirati sulla nuca e una mano tesa verso Giulietta Simionato, stava provando sul palcoscenico dell'Arena di Verona la celebre romanza "Quel fior che avevi a me tu dato", dalla "Carmen" di Bizet. Erano le prove generali dell'opera, alle undici di sera di giovedi, 26 luglio. Mancavano ventidue ore all'inizio ufficiale della gran stagione della lirica e i biglietti d'ingresso per la "prima" erano già tutti esauriti da una settimana. La città era molto in aria e molto curiosa. Corelli fa sempre un pieno e a Verona è di casa. Abita all'albergo delle "Due torri", si è fatto molti amici tra il "Pedavena"[?] e i "Tredici apostoli" e, appena può, va a Punta San Vigilio a mangiare il carpione rosa dal vecchio Wolzsch[?] , amico di Churchill e di Vivien Leigh. Dall'albergo delle "Due torri" era uscito, giovedi sera, col viso accigliato e l'aria molto decisa. Per strada, giù lungo via Mazzini, Corelli rallentava ogni tanto il suo lungo passo da atleta e diventava, impovvisamente, ancora più pensieroso e cupo. Le ragazze che si voltavano a sorridergli, quelle che si fermavano apposta davanti a una vetrina per sfiorargli lo sguardo, non facevano presa su lui.


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Corelli era già dentro il ruvido panno della divisa da ufficiale di don José. Era dentro al personaggio ma non ingranava. Inutilmente, mentre scendeva per via Mazzini fino all'Arena, cercava di rimettersi dal disagio che lo aveva preso dal primo momento in cui aveva incominciato a provare l'opera. Ma era tutto molto inutile ed assurdo. Corelli, quando è entrato nell'Arena, non si è nemmeno messo, come vuole la tradizione per le prove generali di un'opera, il costume da ufficiale del dragoni. Alle undici in punto è salito sul palcoscenico (erano presenti solo i cantanti, cinquanta invitati e cento orchestrali) e aveva ancora la sua aria pensierosa, il maestro Sevitzky, un russo di sessantotto anni naturalizzato americano, abbastanza noto in Italia e direttore dell'orchestra stabile dell'Università di Miami, ha attaccato l'aria della celebre romanza "Quel fior che avevi a me tu dato", Corelli, rivolto alla Simionato che attendeva da lui un fiore stringendosi in una sciarpa di pelliccia, ha incominciato a cantare. Verona, del tavolini del caffè in piazza Bra, stava tesa in ascolto: da fuori, si sente tutto benissimo e si intuiscono i minimi sussulti. Improvvisamente, ancora all'inizio, Corelli ha lasciato una nota a metà. Stizzito, ha levato una mano di tasca e l'ha agitata nell'aria. "Così io non canto" ha detto. "Con questo tempo, non ce la faccio". Il maestro Sevitzky ha abbassato la bacchetta. Verona ha sussultato. Dall'Arena non veniva più un alito di musica: segno che qualcosa non andava o che qualcuno stava male o litigava. "Non ce la faccio" ha ripetuto Corelli; "è un tempo impossibile". Il maestro russo ha definitivamente riposto la bacchetta sul podio. "Ma signor Corelli", ha ribattuto, "tenga presente che questo è il tempo di Bizet". "Non ho mai cantato in questo modo" ha replicato il tenore. "Lei mi impone una lentezza che disperde la melodia". "Non intendo cambiare tempo" ha affermato Sevitzky con l'aria molto decisa. "Io sono il maestro, l'interprete sono io perché dirigo l'opera. Lo spettacolo, i cantanti, sono solo una cooperazione. Un tenore non può impormi niente perché io credo in Bizet, non nel signor cantante". Corelli era impallidito. Già è pallido per conto suo: ma allora sembrava veramente un panno lavato. L'ira gli aveva tirato i lineamenti e i suoi grandissimi, smisurati occhi neri lucicavano dilatati. "Allora si cerchi un altro tenore" ha gridato fuggendo dal palcoscenico. E tutto d'un fiato ha aggiunto, già sugli ultimi gradini dell'Arena, un polemico "buona sera". Panico tra la cavea e i camerini. Gran su e giù dalle gradinate verso i sotterranei dove i cantanti hanno il loro guardaroba i loro specchi privati. Agitazione vivissima tra gli invitati e costernazione generale. La lite era stata secca, decisa, come un fulmine asciutto. Corelli doveva averla meditata in via Mazzini, quando ogni tanto si fermava e non si curava delle ragazze che attraversavano la strada vuota per guardarlo negli occhi. "Si cerchi un altro tenore". Era un'eco che andava qua e là, tra una gradinale e un'altra fin sotto gli archi e al di là degli archi dove, inchiodata alle sedie del caffè, Verona stava con le orecchie tese e spaventate.


Sevitzky ha licenziato con un cenno gli orchestrali. Ufficialmente le prove erano chiuse. Sospese o annullate non interessava. Ciò che importava era che non si facevano più. Per lo meno, non con quel tenore o con quel maestro. Via uno o via l'altro, era chiaro. E se ne è andato il russo, perchè Verona non può perdere Corelli. Meglio un maestro infedele a Bizet, piuttosto che un Corelli furioso contro Verona. E allora niente maestro Sevitzky per tenere buono Corelli. E Corelli, come una primadonna, ha debuttato dopo un minaccioso e strepitoso litigio. Fino ad ora, era stato un tenore personale e deciso, ma non aveva mai avuto niente da dire, almeno ufficialmente, né coi suoi colleghi, né coi suoi maestri. Corelli è un cantante coscienzioso, perfino pignolo e pedante quando deve studiare uno spartito che non conosce. È uno che per cantare vive, e che crede in se stesso e nella sua arte. Tutto era andato liscio, finora e le sue impuntate si erano limitate a banalissimi e comuni litigi (d'uso tre gli artisti) con qualce cantante dispettoso.


Fra i suoi colleghi gode fama di uomo preciso, serio e rispettoso delle idee degli altri. I suoi fans, meglio le sue fans, lo adorano. Due anni fa, a Verona, mentre cantava nella "Turandot", nel momento in cui saliva di corsa i gradini dedl palazzo imperiale per suonare il gong, ci sono state scene di fanatismo. C'erano donne che lo imploravano come un dio e anziani, tranquillissimi coniugi, che litigavano furiosamente per un cannocchiale. Era comparso in scena con le sue celebri gambe fasciate in una calzamaglia azzurra ed era bellissimo, oltre che bravo. Era uno che poteva andare dritto a cantare girando un film, perché sapeva recitare e muoversi come un attore e baciava le sue partner meglio di Cary Grant. Ma quelli che lo conoscono bene dicono che Corelli è un ambizioso, che è smisuratamente ambizioso e che non vuole rivali, né tra uomini, né tra donne e nemmeno tra direttori. Vuole arrivare primo ed essere il padrone della scena. Se in teatro ci sono applausi, vuole essere matematicamente sicuro che sono applausi suoi. È ambizioso perché sa di essere bravo, e anche bello. Si dice che esiga, nella messa in scena di un'opera, che almeno uno dei suoi costumi abbia le gambe libere, da inguainare in una calzamaglia. Corelli ha le gambe più belle che si possano mai immaginare, lunghe e fornite[?] ed elastiche come quella di un adolescente. E adesso ha deciso che deve sganciarsi[?] da tutto, e fare il divo. Si permette le impennate e le minacce della primadonna, che ha in bocca, quasi una parola d'ordine, o via quella (o quello), o via lo Corelli, per far questo, ha atteso di ritornare dall'America, dove aveva cantato al Metropolitan tra un pubblico che, per sentirlo, aveva comprato biglietti a prezzi favolosi. (La colonna sonora del suo "Poliuto", incisa su nastro magnetico, è venduta di contrabbando a New York per cifre astronomiche). Jacqueline Kennedy, il giorno che s'era messa in testa un berretto da bersagliera, ha voluto conoscerlo per congratularsi.


Il pubblico lo ha definito il nuovo Valentino. I critici hanno classificato la sua voce la più "exciting" del mondo. Detroit gli ha regalato una Cadillac ed Elsa Maxwell ha detto che Franco è "il suo nuovo amore". Dopo tutte queste cose, effettivamente un po' troppo "americane", Franco ha preso il via ed ha creduto giusto dettare durissime e personalissime leggi. L'ha spuntata a Verona, e la spunterà anche altrove. La gente ha bisogno di questi idoli e, più li vede capricciosi e puntuti, più li segue e li ammira. La gente li segue perchè si esalta di queste cose e le trova mirabolanti ed ecitanti. È stata la gente che, giovedi sera, ha creato a Verona il "primuomo" della lirica: quasi una Callas in doppiopetto di seta grigia.

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